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Ernesto Bocci

Trentatré anni, una vita.

Non la mia, che è ben oltre, né la tua.  Trentatré, sono quelli trascorsi da quando decidi di abbandonarmi.

Non mi dai il tempo, per conoscerti da adulto, non hai la forza, per resistere ancora.  Al dolore, che provi, così crescente, prolungato, da farti compiere questo gesto pazzesco.

Dietro la casa della nonna, in strada, vicino al parco, dove tanto mi sono divertito da bambino.  Dove mi capita di passare, vedere quella ringhiera, complice del fatto.

Un gesto definitivo, senza possibilità di replica, che scuote l'immensa mia stupidità adolescenziale.  Ma non lo compi certo per punirmi, lo so bene.

Però funziona, non subito, ci vogliono ancora anni, per prendere coscienza di molte cose.

Per esempio, del tempo sprecato, come vedo sprecare, da molti miei ex simili.  Magra consolazione, però.

Mi manchi tanto, tanto, proprio tanto.

A volte, quando abbraccio mio figlio, immagino di essere te che stringi me.

Sono per lui, molto più di ciò che sei stato per me, nel senso che gli dedico molto più tempo.

Lui, ha la fortuna di avere papà e mamma sotto lo stesso tetto, non perfetti, ma che lo amano più della loro stessa vita.  Sembra scontato, ma non tutti i genitori amano e rispettano i figli come dovrebbero.  Perché è così che bisogna fare, non hanno chiesto loro di esistere.

Visti i tuoi errori, e quelli di mamma, cerco di non fargliene sopportare, perché ti marchiano per sempre, anzi, a volte ne riemergono alcuni.

Il Natale, consciamente e non, ha ancora questo dramma in me.  Più forte che nel resto dell'anno, ed è ovvio, che così sarà per sempre.

Poi, a gennaio si riparte, sino a giungere in un attimo alla fine dell'estate, per avvicinarsi ancora, ad un altro anniversario, senza te.

Tu, sei Ernesto Bocci, “Tino”, per i più, dal 1937 al 1982.

Io, ho da poco compiuto 16 anni, e da un pò di tempo, sono l'esatto opposto, del figlio che avresti desiderato.

Ma c'è di più, molto di più, altra magra consolazione, che ti porta sino ad abbandonarmi, per sempre.

È facile dire “non devi sentirti in colpa”, ma non è facile quando, con il senno di poi, ti rendi conto che un diverso tuo comportamento, avrebbe potuto molto probabilmente evitare la tragedia.

Quando tuo padre, piangente, disperato, ti domanda se hai bisogno di lui, e tu gli rispondi “non ti preoccupare per me, pensa a guarire”, e non ti fermi a dormire al suo fianco, non puoi non sentirti in colpa.

Non puoi, non potrai mai, mai e ancora mai.

Sei solo stracolmo di circostanze attenuanti, esempi, comportamenti vissuti, assorbiti, nei tuoi primi sedici anni di vita.  Ma certo non “rattoppano” l'errore di quella sera, in quella stanza, io e te, tu che piangi come un bambino, io che me ne vado.

Per tutta la vita, ora, puoi solo sognare ad occhi aperti un lieto fine, come ogni tanto ti capita.

Ma non è tutto, accade ancora.

Il signor Gero, dove vado qualche volta ad acquistare verdure per il ristorante.

Il signor Gero, del quale ho persino un video in cui porta mio figlio a fare un giro sul muletto.  Come facevi tu con me, papà.  Molto simile anche il muletto, di quelli piccoli, il tuo è andato in pensione da poco, sai? Ha lavorato ancora molti anni, da quando lo hai lasciato.

Il signor Gero, che lavorava, da mattina a sera, nel suo nuovo capannone.  A pochi metri dal tuo, papà. Eh si, perché dopo che mi hai abbandonato, al posto dei campi sono spuntati diversi altri capannoni.

Beh, il signor Gero, una sera, passa davanti al mio ufficio. Scambiamo quattro parole.  Si vede che ha voglia di parlare, ma io ho premura, devo andare.

Non ricordo se dopo ore, o pochi giorni, anche lui decide di abbandonare la sua famiglia.

È facile dire “non devi sentirti in colpa”.  Questa volta si, è “più facile”, ma non finisce neppure qui.

C'è pieno di gente che cade in depressione.

Un depresso va coinvolto, deve lavorare, ma non solo.  Non da solo.  Un depresso deve distrarsi, ma non solo. Non da solo.

Un depresso deve sentirsi utile, per alcuni versi anche indispensabile, ma allo stesso tempo non esageratamente stressato.

Un depresso deve essere spronato, anche sgridato, scosso, se necessario.

Un depresso deve essere tenuto vivo, perché di depressione si può guarire, ma anche morire.

Un depresso non va caricato di psicofarmaci e trascurato.

Bisogna amarlo, e agire considerando la possibilità che potrebbe decidere di abbandonarci.

Un altro natale è “andato”, un nuovo anno iniziato, e si va avanti con il classico “ciao, come va? Tutto bene, grazie, tu?”.

Con queste righe, anche i più tanardi (come il sottoscritto) dovrebbero illuminarsi sul perché non hanno ricevuto i miei auguri di... Buon Natale! O... Buon Anno!

Buongiorno quindi e... anche se in ritardo, buon anno a chi crede, e a chi, non crede. In Babbo Natale, ovviamente... 😉

Cordialmente,
David Bocci

Pubblicato qui il 21 gennaio 2016

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